REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PALERMO - Sez. Seconda Civile
Il Giudice
Istruttore Dott. Fabio Di Pisa in funzione di Giudice
Unico
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 6274/96 R.G.
TRA
Roberto D. nato a Palermo il 00.0.0000 rappresentato e difeso
dagli avv.ti Giuseppe Giunta e Nicola Giudice
ATTORE
CONTRO
la C. s.r.l. in persona del legale rappresentante R.G., rappresentato difeso dagli Avv.ti
Fabio Valguarnera e Simonetta Di Vitale.
CONVENUTA
OGGETTO:
risoluzione contratto e risarcimento
danni
CONCLUSIONI
Le
parti concludono come in atti
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato in data
21.10.1996 Roberto D. conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la C.
s.r.l. in persona del suo legale rappresentante esponendo che in data 30.10.93
aveva stipulato un preliminare di vendita con D. G. nella qualità di
amministratore unico della C. s.r.l., per l’acquisto di un immobile ad uso
civile facente parte dell’allora costruendo edificio nel lotto di terreno sito
in Bagheria tra le vie Cutò, S. Rosalia e S. Enea ed attualmente individuato al
Catasto Urbano di Bagheria al foglio 12 particella 5665 sub 39.
Rilevava che, nel preliminare in questione, le parti
avevano convenuto che l’unità immobiliare de qua, unitamente alle parti
condominiali dell’edificio, sarebbero state costruite in conformità al
capitolato d’opera allegato allo stesso preliminare e che l’unità sarebbe stata
consegnata completa alla parte acquirente entro il 30.09.94, mentre le opere
condominiali entro i sei mesi successivi.
Deduceva, inoltre, che il prezzo dell’immobile era
stato fissato a corpo in lire 160.000.000 di cui lire 40.000.000 venivano
versate subito dal promittente acquirente, lire 10.000.000 da versarsi entro il
31.03.94 lire 10.000.000 entro il 30.06.94 e lire 20.000.000 alla consegna
dell’immobile; i restanti 80.000.000, invece, sarebbero stati pagati mediante
accollo della quota di mutuo gravante sull’immobile.
Inoltre nel preliminare di vendita si prevedeva che
sarebbe stato rogato l’atto pubblico di trasferimento del bene entro due mesi
dal rilascio dei certificati di fine lavori ed abitabilità dell’edificio.
Rilevava, quindi, che effettuati tutti i pagamenti
convenuti sino alla consegna dell’immobile (che avveniva il 29.10.94), con
successiva lettera raccomandata del 31.7.95, aveva lamentato alla promittente
venditrice vizi e difetti presenti sia nella unità immobiliare in suo possesso
che nelle opere condominiali ed aveva invitato la stessa ad eliminare tali vizi
al fine di procedere nella stipula dell’atto pubblico di compravendita, una
volta ottenuta la certificazione amministrativa.
Lamentava che la C. s.r.l., disinteressatasi di tali
legittime contestazioni, aveva reso noto ad esso attore a mezzo raccomandata
del 23.02.96, di avere effettuato la comunicazione di fine lavori e che con
atto del 21.12.95 in notaio Stella era stato frazionato il mutuo, assegnando al
promittente acquirente una frazione pari al suo residuo debito di 80.000.000
lire ed aveva invitato, quindi, esso attore a pagare 7.196.000 lire per
interessi di preammortamento, spese di frazionamento, mutuo e spese per
redazione tabelle millesimali oltre la rata di mutuo scaduta in data 31.12.95,
comunicando, infine, che l’atto pubblico poteva essere stipulato entro e non
oltre venti giorni dal ricevimento della lettera.
Deduceva che esso attore aveva risposto con lettera
raccomandata del 5.3.95,
lamentando le inadempienze della C. s.r.l. ancora sussistenti e la mancata
interpellanza nell’assegnargli la quota frazionata di mutuo; inoltre contestava
l’accollo degli interessi di preammortamento in quanto, sebbene fosse in
possesso dell’immobile dal 29.10.94, non ne era entrato in possesso
formalmente, in mancanza di un verbale di consegna con la descrizione dei
luoghi.
Premessi questi fatti, chiedeva emettersi sentenza che
producesse gli effetti del contratto non ancora redatto, stabilendo la somma
residua da pagare a saldo del trasferimento, tenendo conto dei vizi e
difetti lamentati nell’ immobile ovvero,
ove ciò non fosse stato possibile, chiedeva la risoluzione del contratto
per colpa ed inadempienza della CAB s.r.l., con conseguente versamento
del doppio della caparra e restituzione della somma anticipata in conto prezzo ,
oltre al risarcimento dei danni subiti.
La società convenuta , costituitasi , eccepiva
che il contratto si era già risolto attesa la intervenuta diffida ad adempire
(in forza di lettera raccomandata in data 18.10.1996) rimasta priva di
riscontro o comunque , ai sensi dell’ art. 1453 c.c. per fatto e colpa
del promittente acquirente gravemente inadempiente all’ obbligo di pagamento
del saldo prezzo e degli interessi compensativi pattuiti in contratto.
In via riconvenzionale chiedeva , altresì , la
condanna dell’attore al risarcimento dei danni subiti e, comunque, chiedeva,
per effetto della risoluzione, la condanna del D. alla restituzione
dell’immobile ed al pagamento della indennità di occupazione dal 30.10.1994 in
misura non inferiore a lire 1.000.000 mensili.
Disposta c.t.u., sulle
conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione all’udienza
del 22.2.2000 e, decorsi i termini assegnati, decisa in data 22.5.2000.
Motivi della decisione
Rileva il decidente che, con riguardo al
preliminare di vendita di un immobile da costruire e per il caso in cui detto
immobile venga realizzato con vizi e difformità che non lo rendano
oggettivamente diverso per struttura e funzione ma incidano solamente sul
valore ovvero su secondarie modalità di godimento, deve ritenersi che il
promissario acquirente, a fronte dell’inadempimento del promittente venditore,
non resta soggetto alla sola alternativa della accettazione senza riserve della
cosa viziata o difforme o della risoluzione del contratto , ma può esperire
azione esecutiva specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo
ex art. 2932 c.c.,
chiedendo contestualmente e cumulativamente la riduzione del prezzo, tenuto
conto che una pronuncia del giudice che tenga conto del contratto non concluso,
fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un
legittimo intervento equilibrativo delle contrapposte prestazioni rivolto ad
assicurare che l’interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli
impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente (cfr. Cass. SS.UU. 85/1720).
Deve, poi, rilevarsi che, contrariamente all’ assunto
della società convenuta, i vizi in questione sono stati tempestivamente
denunziati entro il termine di una anno dalla consegna (intervenuta nell’
ottobre del 1994) con lettera raccomandata del 31 agosto 1995 in atti.
Ciò premesso va osservato che sebbene appare fondata
la richiesta di riduzione del prezzo in relazione ai vizi riscontrati dal c.t.u. - difetti che, secondo quanto appresso chiarito ,
appaiono incidere sul valore di mercato del bene de quo - la domanda ex art.
2932 c.c. così come formulata non può trovare accoglimento.
Invero all’ art. 5) del menzionato contratto è detto
testualmente che il pagamento della somma di lire 80.000.000 dovrà avvenire “mediante accollo della quota di
mutuo gravante sull‘immobile. Restano a carico della parte promittente
acquirente, in proporzione della quota di mutuo che sarà ad essa
accollata, le spese tutte che la parte venditrice dovrà sostenere per il
conseguimento del mutuo stesso ed anche gli eventuali interessi di
preammortamento ove 1’unità immobiliare in oggetto venisse consegnata prima
dell’ atto di erogazione”.
Orbene poiché il D. ha richiesto 1’emissione della
pronunzia ex art. 2932 c.c. “stabilendo
all’attore termine e modi per il deposito di quella somma residua che verrà
determinata in corso di causa a seguito dei vizi e difetti accertati, a saldo
prezzo, ordinando nella sentenza la cancellazione di qualsiasi ipoteca,
trascrizione o pesi gravanti sull’ immobile”, la domanda non può trovare
accoglimento in quanto il contenuto della sentenza si porrebbe in contrasto con
le pattuizioni previste dalle parti relativamente al pagamento del prezzo.
Ed invero, la sentenza costitutiva che - a norma
dell’art. 2932 c.c. - tiene luogo del contratto definitivo non concluso, non
può introdurre varianti al contenuto del contratto preliminare, ancorché
riguardanti le sole modalità di esecuzione di una delle prestazioni, ma deve
rispecchiare integralmente le previsioni negoziali quali risultano
dall’interpretazione del contratto preliminare, con la conseguenza che è
inammissibile la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. che importi
una modalità della prestazione non prevista dal contratto preliminare (nella
specie, la Suprema Corte ha annullato la decisione con cui i giudici del merito
avevano accolto la domanda, pur essendosi il promesso acquirente offerto di
pagare il saldo del prezzo in contanti e non mediante accollo di mutuo
fondiario, come previsto dal contratto preliminare) v. Cassazione civile, sez. lI, 6 agosto 1990 n. 7907.
La domanda ex art. 2932 c.c. va, quindi, respinta.
Ciò posto, deve procedersi all’esame della domanda
attorea di risoluzione a fronte della quale la società convenuta ha chiesto I’accertamento della intervenuta risoluzione ai sensi dell’
art. 1454 c.c ovvero in subordine la declaratoria della risoluzione per
inadempimento grave del D..
Orbene premesso che l’eccezione “inadimpleti contractus” consente non solo di
paralizzare la domanda di adempimento della controparte, ma pure di escludere
il diritto della controparte di fare accertare o di domandare la risoluzione
del contratto (cfr. Cass. 7480
del 11/08/1997), occorre effettuare una valutazione comparativa delle
reciproche inadempienze per verificare se sussistano i presupposti per
dichiarare la risoluzione (ovvero
accertare l’intervenuta risoluzione)
del contratto per colpa di uno dei contraenti.
Bisogna, quindi, rilevare che nei contratti a
prestazioni corrispettive per 1’applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum, al fine di stabilire da
quale parte sia l’inadempimento colpevole , non basta riferirsi al solo
criterio cronologico, ma occorre procedere ad una valutazione comparativa della
condotta di entrambi i contraenti, in relazione alle dedotte reciproche
inadempienze, sia per accertarne la sussistenza, sia per apprezzarne nei loro
rapporti di successione causalità e proporzionalità, la relativa gravità ed efficienza
di fronte alla finalità economica complessiva del contratto e della conseguente
influenza sulla sorte dello stesso.
Da tali valutazioni comparative deve stabilirsi, cioè, a seconda della
prevalenza o equivalenza delle rispettive violazioni contrattuali, se e per
colpa di chi debba dichiararsi la risoluzione del contratto.
Tanto premesso va osservato, quanto alla condotta
della convenuta, che 1’attore lamenta che la società promittente venditrice,
nonostante la reiterata richiesta di eliminazione dei difetti riscontrati nell’
appartamento ed alla regolarizzazione dell’immobile relativamente al rilascio
del certificato di abitabilità, è rimasta del tutto inattiva sino alla
instaurazione del presente giudizio.
Per contro la società convenuta assume che il D.,
sebbene più volte sollecitato, prima verbalmente e, poi, con la diffida ad
adempiere ex art. 1454 c.c. ed invito a comparire innanzi al Notaio con
raccomandata del 18.10.1996, si è ingiustificatamente rifiutato di pagare il
residuo prezzo secondo le modalità convenute e di attivarsi per la stipula
dell’ atto pubblico.
Occorre rilevare, invero , che nel menzionato
contratto, è detto testualmente che “il presente preliminare di vendita sarà
ridotto in atto pubblico entro due mesi dal rilascio dei certificati di fine
lavori ed abitabilità dell’edificio, pertanto, il promittente
venditore ne darà comunicazione al promittente acquirente, a mezzo
raccomandata, prima della data della stipula del suddetto atto pubblico di
compravendita”.
Orbene, deve evidenziarsi che dal tenore della richiamata clausola emerge
che la C. era tenuta ad attivarsi per il rilascio delle menzionata
certificazione (ritenuta dalle parti necessaria per addivenire alla stipula
dell’atto pubblico) sicché l’attore, in considerazione della inerzia della
stessa, legittimamente ha invitato quest’ ultima a provvedere per adempiere
1’obbligazione assunta e si è rifiutato di definire la vendita.
Occorre, poi, sottolineare che il c.t.u.
- nella perizia in atti - ha evidenziato, con ragionamento immune da vizi
logici e pienamente condivisibile, che “la
disamina effettuata sulle lamentele di parte attrice ha confermato l’esistenza
di vizi sia sulle parti comuni che sul bene promesso in vendita al Sig. D..
Per la
determinazione della loro incidenza sul valore del bene, il sottoscritto
precisa di ritenere tale incidenza come la diminuzione di valore del bene
stesso rispetto alla somma pattuita e ritenuta equa se il bene avesse avuto le
caratteristiche specificate nel preliminare di vendita del 30.10.93 ed allegato
capitolato.
Si precisa
ulteriormente che tale decremento di valore è certamente differente e
certamente minore della somma di denaro necessaria per portare il bene nelle
condizioni contrattuali. Nel determinare il decremento il sottoscritto,
infatti, ha calcolato la differenza di valore tra quanto realizzato e quanto
previsto. A titolo di esempio, si fa presente che modificare gli infissi
esistenti in modo da potervi installare il “vetro camera” comporta una spesa
superiore alla differenza di valore (il decremento cercato) tra un infisso a
“vetro camera” ed un infisso a vetro singolo.
Molti vizi
riscontrati e sopra analizzati, relativamente all’unità immobiliare, hanno
entità non rilevante ai fini della determinazione di un’incidenza nel valore
del bene, fatta eccezione per i vizi relativi alla pavimentazione ed agli
infissi. Tali ultimi vizi, infatti, essendo evidenti, svalutano il bene agli
occhi di qualsiasi possibile acquirente, determinando di fatto un certo
deprezzamento dell’immobile. Il sottoscritto, in sintesi, ritiene che i vizi
lamentati relativi all’unità immobiliare e sopra riportati incidano sul valore
complessivo dell’immobile in misura del 3% circa. Anche i vizi dello stabile
intero, poiché influiscono sulle parti comuni, a giudizio del sottoscritto
influiscono sul valore di ciascuna unità immobiliare che insiste sullo stabile.
In particolare, trascurando i vizi lamentati che comportano più che altro
disagi, costituiscono vizi di effettiva gravità la cattiva qualità degli intonaci
esterni, già ossidati dagli agenti atmosferici, e l’inadeguata
impermeabilizzazione della terrazza di copertura e delle superfici inclinate di
copertura degli appartamenti a mansarda siti ad ultimo piano dello stabile.
Quest’ultima carenza, in particolare, è causa di copiose infiltrazioni umide
all’interno degli appartamenti e nel breve comporterà costosi interventi di
manutenzione sui prospetti, di natura condominiale. Tali ulteriori vizi dello
stabile incidono sul valore del bene de quo in misura del 9% circa sul prezzo
inizialmente pattuito. L’incidenza totale dei vizi, pertanto, è pari al 12% del
valore del bene pattuito”.
Orbene, non può revocarsi in dubbio che anche sotto
tale profilo legittimamente il D. si è rifiutato di stipulare 1’atto pubblico ed
ha preventivamente invitato la C. s.r.l. a procedere alla immediata
sistemazione ed eliminazione di tutte le manchevolezze denunciate.
Deve sottolinearsi, infatti, che a prescindere dalla
concreta incidenza dei vizi riscontrati sul valore commerciale del bene,
indubbiamente i difetti riscontrati sono di natura tale da determinare una
condotta gravemente inadempiente a carico della C. la quale - come detto -
nulla ha fatto per eliminarli.
Stante la inattività ed il silenzio della società, che
non ha provveduto alcun modo ad eliminare i difetti denunciati e che soltanto
dopo la instaurazione del presente giudizio e precisamente in data 7.11.1996
(v. certificazione del Comune di Bagheria in atti del 11.12.1996 ) ha
presentato istanza per il rilascio del certificato di abitabilità, la condotta
del D. appare pienamente conforme ai doveri di correttezza e buona fede. In
ordine ai profili inerenti le modalità di pagamento occorre osservare che del
tutto arbitraria appare la richiesta formulata dalla C. con nota in data
20.2.1996 di pagamento da parte del D. della rata di mutuo scaduta il
3.12.1995.
Il preliminare deve, infatti, essere interpretato nel
senso che 1’ accollo del mutuo doveva essere contestuale alla stipula dell’
atto pubblico, sicché la promittente venditrice non poteva pretendere il
pagamento del mutuo.
Va, quindi, rilevato in ordine alle contestazioni
della C. - che stante le accertate inadempienze alla stessa imputabili e non
avendo quest’ultima comprovato di essersi seriamente attivata per provvedere al
perfezionamento del contratto in conformità alle pattuizioni intercorse, del
tutta priva di efficacia è la diffida ad adempiere in data 18.10.1996 con
invito a comparire dinanzi al Notaio.
Appare del resto significativo osservare che,
successivamente, la C. non è comparsa innanzi al Notaio indicato, provvedendo a
fare redigere un verbale negativo e che, nel presente giudizio, ha lamentato,
senza comprovarlo, che 1’ atto pubblico non fu stipulato dal momento che il D.
non aveva la disponibilità delle somme necessarie per il pagamento del residuo
prezzo.
Le contestazioni ulteriori formulate dalla C. in
ordine alle modalità di pagamento non appaiono, poi, rilevanti ai fini della
valutazione della condotta di entrambi i contraenti, atteso che la società convenuta
con la richiamata nota in data 18.10.1996 aveva manifestato apertamente la sua
disponibilità a consentire il pagamento del residuo prezzo in contanti (anche
se in concreto le modalità di pagamento non vennero mutate).
Sulla base di una valutazione comparativa della
condotta di entrambi i contraenti , in relazione alle dedotte reciproche
inadempienze, deve ritenersi che la condotta della C. integra gli estremi della
grave inadempienza idonea a giustificare la chiesta risoluzione.
Va, pertanto , dichiarato che il contratto de quo si è
risolto per inadempimento della convenuta e va , conseguentemente , rigettata
la domanda di risoluzione formulata dalla C. (nonché quella risarcitoria).
Per quanto concerne gli effetti restitutori ed il
risarcimento del danno va premesso che l’attore, il quale ha chiesto in
citazione “dichiarare risolto per colpa ed inadempienza della CA.B. il contratto preliminare di compravendita in data
3.10.1993; conseguentemente condannre la convenuta
C.J4.B. a restituire il doppio della caparra; condannare la ditta costruttrice
C. a risarcire i danni derivati dal mancato
adempimento ... danni consistenti nelle spese di
trasferimento nonché gli altri danno morali e materiali ... non ha inteso
esercitare il diritto di recesso (con conseguente possibilità di richiedere il
doppio della caparra), ma ha proposto chiaramente ed inequivocabilmente
1’azione di risoluzione, con conseguente risarcimento del danno ai sensi dell’
ultimo comma dell’ art. 1385 c.c. sicché lo stesso non ha diritto ad ottenere
il doppio della caparra confirmatoria, contrariamente a quanto preteso.
Ed invero, per il disposto dell’art. 1385 comma terzo
cod. civ., la caparra confirmatoria assume la
funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la
parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla
legge, mentre qualora essa parte abbia preferito domandare la risoluzione, il
diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il
pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell’“an’
e nel “quantum”, conservando la caparra solo la funzione di garanzia
dell’obbligazione risarcitoria ( Cfr. Cass. n. 7180 del 4.8.1997).
L’ attore ha, quindi, diritto alla restituzione della
somma versata di lire 80.000.000=.
In ordine alla chiesta corresponsione della
rivalutazione ed interessi sulle dette somme ritiene questo decidente di
aderire alla tesi giurisprudenziale secondo cui nell’ipotesi di risoluzione del
contratto per inadempimento l’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo
di anticipo costituisce debito di valuta e non di valore, insensibile come tale
al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri
di avere subito in conseguenza della svalutazione stessa un particolare
pregiudizio, risarcibile ai sensi dell’ art. 1224 c.c., per indisponibilità
della somma anticipata (cfr. per tutte Cass. SS.UU. 4
Dicembre 1992 n. 12942).
Pertanto la
società convenuta va condanna a restituire al D. la somma di lire 80.000.000
oltre interessi legali quanto a lire 40.000.000 dalla stipula del preliminare
(30.10.1993), quanto a lire 10.000.000 dal 7.4.994, quanto a lire 10.000.000
dal 4.7.1994 e quanto a lire 20.000.000 dal 25.4.1995 (v. ricevute dei
versamenti in atti ).
Deve disattendersi - alla stregua delle considerazioni
che precedono - la chiesta rivalutazione in difetto di prova del maggior danno.
In ordine alla domanda di risarcimento del danno va
rilevato che poiché, come detto, il D. non ha esercitato il diritto di recesso,
il risarcimento del danno è regolato secondo le norme generali.
Deve ritenersi che lo stesso, in conseguenza della
condotta inadempiente della società venditrice - che non ha consentito la
stipula dell’ atto definitivo di vendita - dovrà sostenere delle spese per il
trasloco dei beni collocati nell’ immobile promesso in vendita e consegnatogli,
che possono quantificarsi nella
somma ad oggi di lire 3.000.000.
L’attore non ha, poi, in alcun modo dimostrato di
avere affrontato delle spese per trasferirsi nell’immobile oggi occupato,
sicché la relativa richiesta di risarcimento va disattesa.
Le ulteriori voci di danno indicate in citazione sono
del tutto indimostrate o indeterrninate e, conseguentemente, la relativa
domanda risarcitoria va respinta.
Deve del resto precisarsi che il criterio sussidiario
di valutazione equitativa del danno , di cui all’art. 1226 cod. civ., è utilizzabile - sempre che sia certa l’esistenza di
un danno - solo se la sua precisa determinazione incorra in una impossibilità
probatoria o, quanto meno, sia ostacolata da una rilevante difficoltà, mentre
non è sufficiente la semplice complessità, che renda necessaria l’ammissione di
una consulenza tecnica o il ricorso a valutazioni di tipo presuntivo; inoltre
il giudice, nel procedere alla liquidazione equitativa, deve innanzitutto
vagliare tutti gli elementi di prova raccolti in ordine all’ammontare del danno
(al fine di rendere la liquidazione, per quanto possibile, corrispondente alla
reale entità del pregiudizio) e quindi indicare, almeno sommariamente e sia
pure con l’elasticità propria dell’istituto e dell’inerente ampio potere
discrezionale, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno (cfr. da
ultimo Cass. n. 4894 del 14/5/1998).
Ne discende che nella fattispecie in esame un
liquidazione del danno secondo equità sarebbe del tutto sganciata da criteri
legali.
La C. va, pertanto, condannata a corrispondere all’
attore a titolo di risarcimento del danno la somma di lire 3.000.000.
Deve, quindi , osservarsi che nei contratti a
prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di
risoluzione per inadempimento, facendo venir meno la causa giustificatrice
delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta il sorgere, a carico di
ciascun contraente - ed a prescindere dell’imputabilità delle inadempienze -
dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta.
Pertanto, in ipotesi di pronunciata risoluzione di un
contratto di compravendita di immobile per inadempimento del venditore
(consistente, nella specie, nell’aver venduto un appartamento privo
dell’abitabilità, e perciò di una qualità essenziale), sorge a carico
dell’acquirente l’obbligo di corrispondere alla controparte - che ne abbia fatto
espressa richiesta - l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene
per il relativo periodo; tale prestazione, tuttavia, non può venire in
considerazione, con riguardo all’entità del risarcimento dovuto dal venditore
inadempiente, ai fini dell’applicabilità della compensatio lucri cum damno, non potendo configurarsi l’uso e il
godimento del bene suddetto come un vantaggio derivato all’acquirente
danneggiato quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del
venditore (v. Cassazione civile n. 2209/97).
In base ai detti principi - applicabili anche in tema
di preliminare (v. Cass. 4465/97) - 1’ attore va, quindi, condannato -
conformemente a quanto richiesto dalla società convenuta - a rilasciare in
favore di quest’ultima libero da persone e cose l’immobile per cui è causa,
mentre per quanto concerne la corresponsione dell’ indennizzo per la
occupazione dell’ appartamento de quo la causa va rimessa sul molo come da
separata ordinanza.
Le spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico,
uditi i procuratori delle parti, non definitivamente pronunziando sulle domande
proposte dalle parti così provvede:
a) Dichiara la risoluzione del preliminare di vendita
stipulato inter partes in data 30.10.1993 per inadempimento della C. s.r.1. e per l’effetto condanna quest’ultima a restituire a
Roberto D. la somma di lire 80.000.000 oltre interessi legali dai versamenti
indicati nella parte motiva e il D. a rilasciare in favore della convenuta
l’immobile ad uso civile individuato al Catasto Urbano di Bagheria al foglio 12
particella 5665 sub 39 libero da persone e cose;
b) Condanna la società convenuta al pagamento in
favore dell’ attore della somma di lire 3.000.000 per la causale di cui in
motivazione;
c) Rigetta la domanda risoluzione e quella conseguente
di risarcimento del danno avanzata dalla C. s.r.l. con comparsa in data
3.12.1996;
d) Dispone proseguirsi la causa come da separata
ordinanza;
e) Spese al definitivo
Palermo 22 Maggio 2000