REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PALERMO - Sez. Seconda Civile

Il Giudice Istruttore Dott. Fabio Di Pisa in funzione di Giudice Unico
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 6274/96 R.G.

TRA

Roberto D. nato a Palermo il 00.0.0000 rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Giunta e Nicola Giudice

ATTORE

CONTRO

la C. s.r.l. in persona del legale rappresentante R.G., rappresentato difeso dagli Avv.ti Fabio Valguarnera e Simonetta Di Vitale.

 
CONVENUTA

OGGETTO: risoluzione contratto e risarcimento danni
CONCLUSIONI

Le parti concludono come in atti

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 21.10.1996 Roberto D. conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la C. s.r.l. in persona del suo legale rappresentante esponendo che in data 30.10.93 aveva stipulato un preliminare di vendita con D. G. nella qualità di amministratore unico della C. s.r.l., per l’acquisto di un immobile ad uso civile facente parte dell’allora costruendo edificio nel lotto di terreno sito in Bagheria tra le vie Cutò, S. Rosalia e S. Enea ed attualmente individuato al Catasto Urbano di Bagheria al foglio 12 particella 5665 sub 39.

Rilevava che, nel preliminare in questione, le parti avevano convenuto che l’unità immobiliare de qua, unitamente alle parti condominiali dell’edificio, sarebbero state costruite in conformità al capitolato d’opera allegato allo stesso preliminare e che l’unità sarebbe stata consegnata completa alla parte acquirente entro il 30.09.94, mentre le opere condominiali entro i sei mesi successivi.

Deduceva, inoltre, che il prezzo dell’immobile era stato fissato a corpo in lire 160.000.000 di cui lire 40.000.000 venivano versate subito dal promittente acquirente, lire 10.000.000 da versarsi entro il 31.03.94 lire 10.000.000 entro il 30.06.94 e lire 20.000.000 alla consegna dell’immobile; i restanti 80.000.000, invece, sarebbero stati pagati mediante accollo della quota di mutuo gravante sull’immobile.

Inoltre nel preliminare di vendita si prevedeva che sarebbe stato rogato l’atto pubblico di trasferimento del bene entro due mesi dal rilascio dei certificati di fine lavori ed abitabilità dell’edificio.

Rilevava, quindi, che effettuati tutti i pagamenti convenuti sino alla consegna dell’immobile (che avveniva il 29.10.94), con successiva lettera raccomandata del 31.7.95, aveva lamentato alla promittente venditrice vizi e difetti presenti sia nella unità immobiliare in suo possesso che nelle opere condominiali ed aveva invitato la stessa ad eliminare tali vizi al fine di procedere nella stipula dell’atto pubblico di compravendita, una volta ottenuta la certificazione amministrativa.

Lamentava che la C. s.r.l., disinteressatasi di tali legittime contestazioni, aveva reso noto ad esso attore a mezzo raccomandata del 23.02.96, di avere effettuato la comunicazione di fine lavori e che con atto del 21.12.95 in notaio Stella era stato frazionato il mutuo, assegnando al promittente acquirente una frazione pari al suo residuo debito di 80.000.000 lire ed aveva invitato, quindi, esso attore a pagare 7.196.000 lire per interessi di preammortamento, spese di frazionamento, mutuo e spese per redazione tabelle millesimali oltre la rata di mutuo scaduta in data 31.12.95, comunicando, infine, che l’atto pubblico poteva essere stipulato entro e non oltre venti giorni dal ricevimento della lettera.

Deduceva che esso attore aveva risposto con lettera raccomandata del 5.3.95, lamentando le inadempienze della C. s.r.l. ancora sussistenti e la mancata interpellanza nell’assegnargli la quota frazionata di mutuo; inoltre contestava l’accollo degli interessi di preammortamento in quanto, sebbene fosse in possesso dell’immobile dal 29.10.94, non ne era entrato in possesso formalmente, in mancanza di un verbale di consegna con la descrizione dei luoghi.

Premessi questi fatti, chiedeva emettersi sentenza che producesse gli effetti del contratto non ancora redatto, stabilendo la somma residua da pagare a saldo del trasferimento, tenendo conto dei vizi e difetti  lamentati nell’ immobile ovvero, ove ciò non fosse stato possibile, chiedeva la risoluzione del contratto per colpa ed inadempienza della CAB s.r.l., con conseguente versamento del doppio della caparra e restituzione della somma anticipata in conto prezzo , oltre al risarcimento dei danni subiti.

La società convenuta , costituitasi , eccepiva che il contratto si era già risolto attesa la intervenuta diffida ad adempire (in forza di lettera raccomandata in data 18.10.1996) rimasta priva di riscontro o comunque , ai sensi dell’ art. 1453 c.c. per fatto e colpa del promittente acquirente gravemente inadempiente all’ obbligo di pagamento del saldo prezzo e degli interessi compensativi pattuiti in contratto.

In via riconvenzionale chiedeva , altresì , la condanna dell’attore al risarcimento dei danni subiti e, comunque, chiedeva, per effetto della risoluzione, la condanna del D. alla restituzione dell’immobile ed al pagamento della indennità di occupazione dal 30.10.1994 in misura non inferiore a lire 1.000.000 mensili.

Disposta c.t.u., sulle conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione all’udienza del 22.2.2000 e, decorsi i termini assegnati, decisa in data 22.5.2000.

Motivi della decisione

Rileva il decidente che, con riguardo al preliminare di vendita di un immobile da costruire e per il caso in cui detto immobile venga realizzato con vizi e difformità che non lo rendano oggettivamente diverso per struttura e funzione ma incidano solamente sul valore ovvero su secondarie modalità di godimento, deve ritenersi che il promissario acquirente, a fronte dell’inadempimento del promittente venditore, non resta soggetto alla sola alternativa della accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme o della risoluzione del contratto , ma può esperire azione esecutiva specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 c.c., chiedendo contestualmente e cumulativamente la riduzione del prezzo, tenuto conto che una pronuncia del giudice che tenga conto del contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare, configura un legittimo intervento equilibrativo delle contrapposte prestazioni rivolto ad assicurare che l’interesse del promissario alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente (cfr. Cass. SS.UU. 85/1720).

Deve, poi, rilevarsi che, contrariamente all’ assunto della società convenuta, i vizi in questione sono stati tempestivamente denunziati entro il termine di una anno dalla consegna (intervenuta nell’ ottobre del 1994) con lettera raccomandata del 31 agosto 1995 in atti.

Ciò premesso va osservato che sebbene appare fondata la richiesta di riduzione del prezzo in relazione ai vizi riscontrati dal c.t.u. - difetti che, secondo quanto appresso chiarito , appaiono incidere sul valore di mercato del bene de quo - la domanda ex art. 2932 c.c. così come formulata non può trovare accoglimento.

Invero all’ art. 5) del menzionato contratto è detto testualmente che il pagamento della somma di lire 80.000.000 dovrà avvenire “mediante accollo della quota di mutuo gravante sull‘immobile. Restano a carico della parte promittente acquirente, in proporzione della quota di mutuo che sarà ad essa accollata, le spese tutte che la parte venditrice dovrà sostenere per il conseguimento del mutuo stesso ed anche gli eventuali interessi di preammortamento ove 1’unità immobiliare in oggetto venisse consegnata prima dell’ atto di erogazione”.

Orbene poiché il D. ha richiesto 1’emissione della pronunzia ex art. 2932 c.c. “stabilendo all’attore termine e modi per il deposito di quella somma residua che verrà determinata in corso di causa a seguito dei vizi e difetti accertati, a saldo prezzo, ordinando nella sentenza la cancellazione di qualsiasi ipoteca, trascrizione o pesi gravanti sull’ immobile”, la domanda non può trovare accoglimento in quanto il contenuto della sentenza si porrebbe in contrasto con le pattuizioni previste dalle parti relativamente al pagamento del prezzo.

Ed invero, la sentenza costitutiva che - a norma dell’art. 2932 c.c. - tiene luogo del contratto definitivo non concluso, non può introdurre varianti al contenuto del contratto preliminare, ancorché riguardanti le sole modalità di esecuzione di una delle prestazioni, ma deve rispecchiare integralmente le previsioni negoziali quali risultano dall’interpretazione del contratto preliminare, con la conseguenza che è inammissibile la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. che importi una modalità della prestazione non prevista dal contratto preliminare (nella specie, la Suprema Corte ha annullato la decisione con cui i giudici del merito avevano accolto la domanda, pur essendosi il promesso acquirente offerto di pagare il saldo del prezzo in contanti e non mediante accollo di mutuo fondiario, come previsto dal contratto preliminare) v. Cassazione civile, sez. lI, 6 agosto 1990 n. 7907.

La domanda ex art. 2932 c.c. va, quindi, respinta.

Ciò posto, deve procedersi all’esame della domanda attorea di risoluzione a fronte della quale la società convenuta ha chiesto I’accertamento della intervenuta risoluzione ai sensi dell’ art. 1454 c.c ovvero in subordine la declaratoria della risoluzione per inadempimento grave del D..

Orbene premesso che l’eccezione inadimpleti contractus consente non solo di paralizzare la domanda di adempimento della controparte, ma pure di escludere il diritto della controparte di fare accertare o di domandare la risoluzione del contratto (cfr. Cass. 7480 del 11/08/1997), occorre effettuare una valutazione comparativa delle reciproche inadempienze per verificare se sussistano i presupposti per dichiarare la risoluzione (ovvero accertare l’intervenuta risoluzione) del contratto per colpa di uno dei contraenti.

Bisogna, quindi, rilevare che nei contratti a prestazioni corrispettive per 1’applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum, al fine di stabilire da quale parte sia l’inadempimento colpevole , non basta riferirsi al solo criterio cronologico, ma occorre procedere ad una valutazione comparativa della condotta di entrambi i contraenti, in relazione alle dedotte reciproche inadempienze, sia per accertarne la sussistenza, sia per apprezzarne nei loro rapporti di successione causalità e proporzionalità, la relativa gravità ed efficienza di fronte alla finalità economica complessiva del contratto e della conseguente influenza sulla sorte dello stesso.
Da tali valutazioni comparative deve stabilirsi, cioè, a seconda della prevalenza o equivalenza delle rispettive violazioni contrattuali, se e per colpa di chi debba dichiararsi la risoluzione del contratto.

Tanto premesso va osservato, quanto alla condotta della convenuta, che 1’attore lamenta che la società promittente venditrice, nonostante la reiterata richiesta di eliminazione dei difetti riscontrati nell’ appartamento ed alla regolarizzazione dell’immobile relativamente al rilascio del certificato di abitabilità, è rimasta del tutto inattiva sino alla instaurazione del presente giudizio.

Per contro la società convenuta assume che il D., sebbene più volte sollecitato, prima verbalmente e, poi, con la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. ed invito a comparire innanzi al Notaio con raccomandata del 18.10.1996, si è ingiustificatamente rifiutato di pagare il residuo prezzo secondo le modalità convenute e di attivarsi per la stipula dell’ atto pubblico.

Occorre rilevare, invero , che nel menzionato contratto, è detto testualmente che “il presente preliminare di vendita sarà ridotto in atto pubblico entro due mesi dal rilascio dei certificati di fine lavori ed abitabilità dell’edificio, pertanto, il promittente venditore ne darà comunicazione al promittente acquirente, a mezzo raccomandata, prima della data della stipula del suddetto atto pubblico di compravendita”.
Orbene, deve evidenziarsi che dal tenore della richiamata clausola emerge che la C. era tenuta ad attivarsi per il rilascio delle menzionata certificazione (ritenuta dalle parti necessaria per addivenire alla stipula dell’atto pubblico) sicché l’attore, in considerazione della inerzia della stessa, legittimamente ha invitato quest’ ultima a provvedere per adempiere 1’obbligazione assunta e si è rifiutato di definire la vendita.

Occorre, poi, sottolineare che il c.t.u. - nella perizia in atti - ha evidenziato, con ragionamento immune da vizi logici e pienamente condivisibile, che “la disamina effettuata sulle lamentele di parte attrice ha confermato l’esistenza di vizi sia sulle parti comuni che sul bene promesso in vendita al Sig. D..

Per la determinazione della loro incidenza sul valore del bene, il sottoscritto precisa di ritenere tale incidenza come la diminuzione di valore del bene stesso rispetto alla somma pattuita e ritenuta equa se il bene avesse avuto le caratteristiche specificate nel preliminare di vendita del 30.10.93 ed allegato capitolato.

Si precisa ulteriormente che tale decremento di valore è certamente differente e certamente minore della somma di denaro necessaria per portare il bene nelle condizioni contrattuali. Nel determinare il decremento il sottoscritto, infatti, ha calcolato la differenza di valore tra quanto realizzato e quanto previsto. A titolo di esempio, si fa presente che modificare gli infissi esistenti in modo da potervi installare il “vetro camera” comporta una spesa superiore alla differenza di valore (il decremento cercato) tra un infisso a “vetro camera” ed un infisso a vetro singolo.

Molti vizi riscontrati e sopra analizzati, relativamente all’unità immobiliare, hanno entità non rilevante ai fini della determinazione di un’incidenza nel valore del bene, fatta eccezione per i vizi relativi alla pavimentazione ed agli infissi. Tali ultimi vizi, infatti, essendo evidenti, svalutano il bene agli occhi di qualsiasi possibile acquirente, determinando di fatto un certo deprezzamento dell’immobile. Il sottoscritto, in sintesi, ritiene che i vizi lamentati relativi all’unità immobiliare e sopra riportati incidano sul valore complessivo dell’immobile in misura del 3% circa. Anche i vizi dello stabile intero, poiché influiscono sulle parti comuni, a giudizio del sottoscritto influiscono sul valore di ciascuna unità immobiliare che insiste sullo stabile. In particolare, trascurando i vizi lamentati che comportano più che altro disagi, costituiscono vizi di effettiva gravità la cattiva qualità degli intonaci esterni, già ossidati dagli agenti atmosferici, e l’inadeguata impermeabilizzazione della terrazza di copertura e delle superfici inclinate di copertura degli appartamenti a mansarda siti ad ultimo piano dello stabile. Quest’ultima carenza, in particolare, è causa di copiose infiltrazioni umide all’interno degli appartamenti e nel breve comporterà costosi interventi di manutenzione sui prospetti, di natura condominiale. Tali ulteriori vizi dello stabile incidono sul valore del bene de quo in misura del 9% circa sul prezzo inizialmente pattuito. L’incidenza totale dei vizi, pertanto, è pari al 12% del valore del bene pattuito”.

Orbene, non può revocarsi in dubbio che anche sotto tale profilo legittimamente il D. si è rifiutato di stipulare 1’atto pubblico ed ha preventivamente invitato la C. s.r.l. a procedere alla immediata sistemazione ed eliminazione di tutte le manchevolezze denunciate.

Deve sottolinearsi, infatti, che a prescindere dalla concreta incidenza dei vizi riscontrati sul valore commerciale del bene, indubbiamente i difetti riscontrati sono di natura tale da determinare una condotta gravemente inadempiente a carico della C. la quale - come detto - nulla ha fatto per eliminarli.

Stante la inattività ed il silenzio della società, che non ha provveduto alcun modo ad eliminare i difetti denunciati e che soltanto dopo la instaurazione del presente giudizio e precisamente in data 7.11.1996 (v. certificazione del Comune di Bagheria in atti del 11.12.1996 ) ha presentato istanza per il rilascio del certificato di abitabilità, la condotta del D. appare pienamente conforme ai doveri di correttezza e buona fede. In ordine ai profili inerenti le modalità di pagamento occorre osservare che del tutto arbitraria appare la richiesta formulata dalla C. con nota in data 20.2.1996 di pagamento da parte del D. della rata di mutuo scaduta il 3.12.1995.

Il preliminare deve, infatti, essere interpretato nel senso che 1’ accollo del mutuo doveva essere contestuale alla stipula dell’ atto pubblico, sicché la promittente venditrice non poteva pretendere il pagamento del mutuo.

Va, quindi, rilevato in ordine alle contestazioni della C. - che stante le accertate inadempienze alla stessa imputabili e non avendo quest’ultima comprovato di essersi seriamente attivata per provvedere al perfezionamento del contratto in conformità alle pattuizioni intercorse, del tutta priva di efficacia è la diffida ad adempiere in data 18.10.1996 con invito a comparire dinanzi al Notaio.

Appare del resto significativo osservare che, successivamente, la C. non è comparsa innanzi al Notaio indicato, provvedendo a fare redigere un verbale negativo e che, nel presente giudizio, ha lamentato, senza comprovarlo, che 1’ atto pubblico non fu stipulato dal momento che il D. non aveva la disponibilità delle somme necessarie per il pagamento del residuo prezzo.

Le contestazioni ulteriori formulate dalla C. in ordine alle modalità di pagamento non appaiono, poi, rilevanti ai fini della valutazione della condotta di entrambi i contraenti, atteso che la società convenuta con la richiamata nota in data 18.10.1996 aveva manifestato apertamente la sua disponibilità a consentire il pagamento del residuo prezzo in contanti (anche se in concreto le modalità di pagamento non vennero mutate).

Sulla base di una valutazione comparativa della condotta di entrambi i contraenti , in relazione alle dedotte reciproche inadempienze, deve ritenersi che la condotta della C. integra gli estremi della grave inadempienza idonea a giustificare la chiesta risoluzione.

Va, pertanto , dichiarato che il contratto de quo si è risolto per inadempimento della convenuta e va , conseguentemente , rigettata la domanda di risoluzione formulata dalla C. (nonché quella risarcitoria).

Per quanto concerne gli effetti restitutori ed il risarcimento del danno va premesso che l’attore, il quale ha chiesto in citazione “dichiarare risolto per colpa ed inadempienza della CA.B. il contratto preliminare di compravendita in data 3.10.1993; conseguentemente condannre la convenuta C.J4.B. a restituire il doppio della caparra; condannare la ditta costruttrice C. a risarcire i danni derivati dal mancato adempimento ... danni consistenti nelle spese di trasferimento nonché gli altri danno morali e materiali ... non ha inteso esercitare il diritto di recesso (con conseguente possibilità di richiedere il doppio della caparra), ma ha proposto chiaramente ed inequivocabilmente 1’azione di risoluzione, con conseguente risarcimento del danno ai sensi dell’ ultimo comma dell’ art. 1385 c.c. sicché lo stesso non ha diritto ad ottenere il doppio della caparra confirmatoria, contrariamente a quanto preteso.

Ed invero, per il disposto dell’art. 1385 comma terzo cod. civ., la caparra confirmatoria assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge, mentre qualora essa parte abbia preferito domandare la risoluzione, il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà in tal caso essere provato nell’“an’ e nel “quantum”, conservando la caparra solo la funzione di garanzia dell’obbligazione risarcitoria ( Cfr. Cass. n. 7180 del 4.8.1997).

L’ attore ha, quindi, diritto alla restituzione della somma versata di lire 80.000.000=.

In ordine alla chiesta corresponsione della rivalutazione ed interessi sulle dette somme ritiene questo decidente di aderire alla tesi giurisprudenziale secondo cui nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento l’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di anticipo costituisce debito di valuta e non di valore, insensibile come tale al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere subito in conseguenza della svalutazione stessa un particolare pregiudizio, risarcibile ai sensi dell’ art. 1224 c.c., per indisponibilità della somma anticipata (cfr. per tutte Cass. SS.UU. 4 Dicembre 1992 n. 12942).

 Pertanto la società convenuta va condanna a restituire al D. la somma di lire 80.000.000 oltre interessi legali quanto a lire 40.000.000 dalla stipula del preliminare (30.10.1993), quanto a lire 10.000.000 dal 7.4.994, quanto a lire 10.000.000 dal 4.7.1994 e quanto a lire 20.000.000 dal 25.4.1995 (v. ricevute dei versamenti in atti ).

Deve disattendersi - alla stregua delle considerazioni che precedono - la chiesta rivalutazione in difetto di prova del maggior danno.

In ordine alla domanda di risarcimento del danno va rilevato che poiché, come detto, il D. non ha esercitato il diritto di recesso, il risarcimento del danno è regolato secondo le norme generali.

Deve ritenersi che lo stesso, in conseguenza della condotta inadempiente della società venditrice - che non ha consentito la stipula dell’ atto definitivo di vendita - dovrà sostenere delle spese per il trasloco dei beni collocati nell’ immobile promesso in vendita e consegnatogli, che possono quantificarsi nella somma ad oggi di lire 3.000.000.

L’attore non ha, poi, in alcun modo dimostrato di avere affrontato delle spese per trasferirsi nell’immobile oggi occupato, sicché la relativa richiesta di risarcimento va disattesa.

Le ulteriori voci di danno indicate in citazione sono del tutto indimostrate o indeterrninate e, conseguentemente, la relativa domanda risarcitoria va respinta.

Deve del resto precisarsi che il criterio sussidiario di valutazione equitativa del danno , di cui all’art. 1226 cod. civ., è utilizzabile - sempre che sia certa l’esistenza di un danno - solo se la sua precisa determinazione incorra in una impossibilità probatoria o, quanto meno, sia ostacolata da una rilevante difficoltà, mentre non è sufficiente la semplice complessità, che renda necessaria l’ammissione di una consulenza tecnica o il ricorso a valutazioni di tipo presuntivo; inoltre il giudice, nel procedere alla liquidazione equitativa, deve innanzitutto vagliare tutti gli elementi di prova raccolti in ordine all’ammontare del danno (al fine di rendere la liquidazione, per quanto possibile, corrispondente alla reale entità del pregiudizio) e quindi indicare, almeno sommariamente e sia pure con l’elasticità propria dell’istituto e dell’inerente ampio potere discrezionale, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno (cfr. da ultimo Cass. n. 4894 del 14/5/1998).

Ne discende che nella fattispecie in esame un liquidazione del danno secondo equità sarebbe del tutto sganciata da criteri legali.

La C. va, pertanto, condannata a corrispondere all’ attore a titolo di risarcimento del danno la somma di lire 3.000.000.

Deve, quindi , osservarsi che nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, facendo venir meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta il sorgere, a carico di ciascun contraente - ed a prescindere dell’imputabilità delle inadempienze - dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta.

Pertanto, in ipotesi di pronunciata risoluzione di un contratto di compravendita di immobile per inadempimento del venditore (consistente, nella specie, nell’aver venduto un appartamento privo dell’abitabilità, e perciò di una qualità essenziale), sorge a carico dell’acquirente l’obbligo di corrispondere alla controparte - che ne abbia fatto espressa richiesta - l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene per il relativo periodo; tale prestazione, tuttavia, non può venire in considerazione, con riguardo all’entità del risarcimento dovuto dal venditore inadempiente, ai fini dell’applicabilità della compensatio lucri cum damno, non potendo configurarsi l’uso e il godimento del bene suddetto come un vantaggio derivato all’acquirente danneggiato quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del venditore (v. Cassazione civile n. 2209/97).

In base ai detti principi - applicabili anche in tema di preliminare (v. Cass. 4465/97) - 1’ attore va, quindi, condannato - conformemente a quanto richiesto dalla società convenuta - a rilasciare in favore di quest’ultima libero da persone e cose l’immobile per cui è causa, mentre per quanto concerne la corresponsione dell’ indennizzo per la occupazione dell’ appartamento de quo la causa va rimessa sul molo come da separata ordinanza.

Le spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, uditi i procuratori delle parti, non definitivamente pronunziando sulle domande proposte dalle parti così provvede:

a) Dichiara la risoluzione del preliminare di vendita stipulato inter partes in data 30.10.1993 per inadempimento della C. s.r.1. e per l’effetto condanna quest’ultima a restituire a Roberto D. la somma di lire 80.000.000 oltre interessi legali dai versamenti indicati nella parte motiva e il D. a rilasciare in favore della convenuta l’immobile ad uso civile individuato al Catasto Urbano di Bagheria al foglio 12 particella 5665 sub 39 libero da persone e cose;

b) Condanna la società convenuta al pagamento in favore dell’ attore della somma di lire 3.000.000 per la causale di cui in motivazione;

c) Rigetta la domanda risoluzione e quella conseguente di risarcimento del danno avanzata dalla C. s.r.l. con comparsa in data 3.12.1996;

d) Dispone proseguirsi la causa come da separata ordinanza;

e) Spese al definitivo

Palermo 22 Maggio 2000