Sulla pendenza della lite e sugli effetti di essa nella domanda di ingiunzione

Cristina Asprella, Avvocato in Roma, Dottore di ricerca in Diritto processuale civile presso l'Università La Sapienza di Roma

Il terzo comma dell’art. 643 c.p.c. deve interpretarsi nel senso che la lite introdotta con la domanda di ingiunzione deve ritenersi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso.

L’ordinanza in commento, pronunciata a Sezioni Unite sul regolamento di competenza proposto da una delle parti, coglie l’occasione per fare il punto su una controversa questione di diritto. Infatti la III sezione civile, cui il ricorso era stato assegnato, aveva rilevato che rispetto alla determinazione della prevenzione, tra una domanda di condanna introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo e una domanda contrapposta di accertamento negativo del credito introdotta con atto di citazione, esisteva contrasto tra i giudici di legittimità. Secondo un primo orientamento, infatti, la data di proposizione della domanda giudiziale è quella del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (cfr. in arg. Cass. n. 3978/2003); secondo un ulteriore tesi, invece, la prevenzione si determina con riferimento alla data di notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo.

Le Sezioni Unite civili in primo luogo ribadiscono l’orientamento dominante in tema di continenza: questa sussiste, infatti, non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti e di titolo e da una differenza quantitativa dell’oggetto, ma anche quando tra le stesse cause sussiste un rapporto di interdipendenza, come accade quando siano prospettate, rispetto ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza meramente parziale delle cause petendi, nonché quando le questioni dedotte con la domanda proposta anteriormente sono il necessario presupposto per la definizione del successivo giudizio (come accade quando le domande contrapposte riguardano il riconoscimento e la tutela dei diritti che derivano dallo stesso rapporto e l’esito dipende dalla soluzione di questioni comuni). Sul punto, da ultimo, oltre alle copiose sentenze citate in motivazione (cfr. sub pagg. 10 e 11), si veda Cass. 27710/2005, secondo cui, appunto, la continenza di cause ricorre non solo quando due procedimenti siano caratterizzati da identità di soggetti e titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell'oggetto, ma anche quando fra di esse sussista un rapporto giuridico di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte; con riguardo all’esistenza del nesso di pregiuzialità-dipendenza si veda (sempre oltre alle sent. citate in motivazione) Cass. 6 settembre 2002/12995, ord.). Peraltro, aggiungiamo, la continenza è di solito riconosciuta laddove il rapporto tra le cause sia tale imporre di evitare contraddittorietà dei giudicati, come può accadere tra la domanda proposta rispetto alla declaratoria di nullità o all’annullamento o ancora alla risoluzione del contratto e la domanda di esecuzione del contratto stesso (sul punto si veda ad es. Cass. 18 marzo 2006/4006, ord.; Cass. 24 febbraio 2000/2109).

A norma dell’art. 39, secondo e terzo comma, c.p.c., in caso di continenza se uno solo dei giudici è competente per entrambe le cause, l’altro deve rimettergli la causa pendente innanzi a lui; se sono entrambi competenti il giudice successivamente adito deve dichiarare la continenza e fissare un termine perentorio per la riunione. Nella fattispecie che ha originato l’ordinanza in commento trattavasi certamente di domande contrapposte, trattandosi di domanda di condanna introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo di fronte ad un giudice e della contrapposta domanda di accertamento negativo dello stesso credito proposta dinnanzi ad altro giudice; era però necessario determinare la prevenzione. Il problema relativo alla determinazione della prevenzione tra le due domande derivava dall’essere stato notificato l’atto di citazione prima della notifica del ricorso per decreto ingiuntivo; ma nell’essere stato quest’ultimo depositato prima della data della notifica dell’atto di citazione.

Sul punto vi era contrasto tra le diverse sezioni della Corte.

Secondo un primo orientamento in tema di procedimenti monitori che iniziano con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, la pendenza della lite va determinata con riferimento alla notifica del ricorso e del conseguente decreto ingiuntivo, così come disposto dall'art. 643 c.p.c., norma speciale e non soggetta a deroghe in base a principi di carattere generale. Pertanto, al fine di determinare l'eventuale spostamento di competenza per continenza di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo e di una controversia introdotta con rito ordinario, si deve fare riferimento alla data di instaurazione della lite secondo il criterio sopra indicato, ferma restando la competenza funzionale inderogabile del giudice che ha pronunciato il decreto a dichiararne la nullità (cfr. da ultimo Cass. 2 febbraio 2006/2319 nonché ulteriori sent. riportate in motivazione). Con la conseguenza che qualora il decreto ingiuntivo sia notificato successivamente alla proposizione in via ordinaria di una domanda che si ponga in relazione di continenza con quella formulata in via monitoria, il giudice dell'opposizione è tenuto ad annullare l'ingiunzione ed a rimettere le parti davanti al giudice della causa preveniente (e non può, invece, mantenendo in vita il decreto, procedere nella cognizione dell'opposizione, oppure sospenderla, ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione dell'altra controversia (Cass., Sez. Un., 23 luglio 2001/10011).

Per un secondo, contrastante, orientamento, invece, e in fattispecie identica a quella che ha originato l’attuale ordinanza delle Sezioni Unite, nel caso in cui la parte nei cui confronti è stato chiesto decreto Ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, sempre che la domanda di ingiunzione sia stata proposta a giudice che alla data in cui è stata presentata era competente a conoscerne (Cass. 18 marzo 2003/3978).

La Corte ritiene di aderire proprio a questo secondo orientamento.

Le argomentazioni alla base della soluzione prescelta in parte ricalcano quelle già espresse nella citata Cass. n. 3978/2003.

La Corte sposa le soluzioni già prospettate dalla dottrina che aveva evidenziato la necessità di evitare che la tutela del creditore sia posta nel nulla non già per effetto dell’accertamento nel contraddittorio tra le parti dell’insussistenza delle condizioni processuali per l’ottenimento del decreto ingiuntivo o, nel merito, delle ragioni creditorie ma solo e soltanto per il fatto che il debitore si sia “affrettato” a precedere con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio sul rapporto quella del ricorso e del decreto ingiuntivo, al solo scopo di ottenerne la dichiarazione di nullità e la cancellazione dell’eventuale ipoteca giudiziale iscritta sulla base di esso.

Vi sono peraltro, dice la Corte, anche ragioni di ordine sistematico, ossia la necessità di evitare che, senza decisive ragioni sostanziali e formali, la regola dettata dall’art. 643 c.p.c., secondo comma, porti a conclusioni contrastanti con principi generali, con gli orientamenti giurisprudenziali dominanti e, infine, con le altre norme che disciplinano il procedimento per ingiunzione.

La Corte, inoltre, ritiene di aderire a quell’orientamento dottrinale che interpreta l’art. 643, terzo comma, c.p.c., nel senso che la notificazione del ricorso e del decreto sono condizione per il determinarsi della litispendenza ma non coincide anche il momento in cui si verifica: questo momento è, invece, alla stregua degli ordinari principi, quello in cui è proposta la domanda d’ingiunzione e, di conseguenza, la litispendenza si verifica solo se il ricorso e il decreto sono notificati, ma retroagisce al momento del deposito del ricorso (si veda in tema funditus l’ordinanza in commento, in motivazione). Si consideri al riguardo che ai sensi del terzo comma dell’art. 643 è la notificazione del decreto a determinare la pendenza della lite con la conseguenza che solo la notificazione del decreto stesso determina il prodursi di tutti gli effetti sostanziali e processuali propri della domanda giudiziale proposta in via ordinaria, ossia litispendenza, continenza e connessione (così Cass. 28 aprile 1981/2588), l’applicazione dell’art. 111 c.p.c., l’interruzione della prescrizione. Essa ha inoltre sempre ritenuto che nel procedimento monitorio il deposito del ricorso è il momento determinante per la giurisdizione la competenza ai sensi dell’art. 5 c.p.c. (così ad es. Cass. 15 maggio 1998/4904) e che il deposito del ricorso nonostante il contraddittorio venga posticipato ad un momento successivo all’emissione del decreto, si deve intendere come momento di proposizione della domanda giudiziale ai fini dell’applicazione dell’art. 1283 c.c. che regola l’anatocismo (Cass. 10 settembre 1990/9311). Si veda in dottrina Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, Milano, 1991, 102 e ss.

La Corte in applicazione dei detti principi, accoglie, come visto, l’orientamento più recente affermando il principio di cui in massima.

In argomento si veda Franco, Guida al procedimento di ingiunzione, Milano, 1998; Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, cit., passim; Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000; Id., La competenza funzionale e inderogabile del giudice (di pace) investito dell'opposizione a decreto ingiuntivo: ovvero, le categorie inesistenti non riescono a morire, in Giur. It., 2001, 10, 1815.