Con domanda del 28.6.2001 la H. s.p.a., con sede in Bolzano, essendosi
verificate infiltrazioni di acqua di falda in corrispondenza del
terzo piano interrato del complesso *, costruito da detta società
nella zona di rispetto C della falda di Bolzano, chiedeva alla
Provincia Autonoma di Bolzano, cui aveva venduto tale complesso,
e dopo avere installato in detto locale quattro pompe per il pompaggio
dell'acqua, l'autorizzazione in sanatoria per procedere, in caso
di eccezionale innalzamento, al pompaggio dell'acqua al fine di
ottenere l'abbassamento della falda acquifera.
L'Ufficio provinciale gestione risorse idriche e l'Ufficio provinciale
tutela acque, con provvedimento congiunto del 28.9.2001, prot.
N. 5583, esprimevano parere negativo a tale tipo di intervento,
perché ne sarebbe derivato un abbassamento della falda
acquifera della città di Bolzano, che avrebbe comportato,
in contrasto con le norme di tutela previste per la zona di rispetto,
un depauperamento della falda sotto l'aspetto quantitativo ed
un danno per la qualità dell'acqua. Tale parere veniva
comunicato con nota del 31.10. 2001, con la quale veniva prescritta
anche la rimozione delle quattro pompe già installate per
il pompaggio dell'acqua. Avverso tale parere ed avverso il successivo
provvedimento del 31.10.2001 la H. s.p.a. proponeva ricorso gerarchico
alla Giunta provinciale di Bolzano, che con Delib. 4 marzo 2002,
n. 714, rigettava il ricorso.
Tale deliberazione veniva impugnata da detta società dinanzi
al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che con sentenza
n. 132/2005 accoglieva il ricorso. A seguito di tale sentenza
la H. s.p.a. diffidava la Provincia Autonoma di Bolzano a dare
seguito al procedimento amministrativo avviato con la domanda
di autorizzazione al pompaggio del 27.6.2001, intimandole di tener
conto degli accertamenti e delle statuizioni contenuti in detta
sentenza. Con determinazione in data 7 giugno 2006 l'ufficio gestione
risorse idriche e l'Ufficio edilizia est esprimevano nuovamente
parere negativo al progetto di abbassamento della falda in occasione
di eventi eccezionali, invitando contestualmente la H. s.p.a.
a presentare, entro 90 giorni dalla notifica di detto parere,
un progetto più dettagliato di impermeabilizzazione del
terzo piano interrato rispetto a quello presentato in data 6.2.2002,
con l'avvertimento che in mancanza l'Amministrazione avrebbe provveduto
d'ufficio alla progettazione ed alla esecuzione dei lavori necessari
e che, in tal caso, le spese, oneri e quant'altro sarebbero stati
detratti dall'importo di Euro 630.000,00, già riscossi
dalla Provincia dalla fideiussione versata da detta società
a garanzia delle obbligazioni derivanti dal contratto di compravendita
stipulato con la Provincia di Bolzano.
Contro tale nuovo provvedimento negativo la H. proponeva ulteriore
ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che veniva
respinto con sentenza n. 26 del 2009.
Avverso detta sentenza la H. s.p.a. ha proposto ricorso alle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, depositando anche memoria ex
art. 378 c.p.c.. La Provincia Autonoma di Bolzano ha resistito
con controricorso.
Con un motivo, articolato in più censure, la ricorrente
denuncia violazione di legge (art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 111
Cost.) per motivazione inesistente ovvero soltanto apparente,
per intrinseca inidoneità della sentenza a consentire il
controllo delle ragioni che stanno a base della decisione.
Secondo la ricorrente sarebbe inappropriato il richiamo, fatto
nella sentenza impugnata, alla L.P. n. 7 del 2002 (recte L.P.
n. 8 del 2002), non avendo questa aggiunto alcun elemento di novità
rispetto alla precedente disciplina applicabile alla fattispecie
in esame. Non verrebbero per nulla indicate in detta sentenza
le ragioni per cui la richiesta di abbassamento della falda acquifera
si porrebbe in contrasto con la L. P. n. 8 del 2002 e ciò
in pieno contrasto con l'art. 111 Cost., secondo cui tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati.
Erroneamente il giudice a quo avrebbe affermato che la sentenza
n. 132/05 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non avrebbe
mai preso in considerazione la L.P. n. 5922 del 1983, cosa che
invece aveva fatto, escludendo che potesse esservi un pregiudizio
qualitativo o quantitativo dell'acqua in conseguenza del suo pompaggio,
e, quindi, che tale operazione si ponesse in contrasto con la
disciplina sulla tutela della falda acquifera dettata dalla Delib.
Giunta Provinciale n. 5922 del 1983.
Ancora, dinanzi alla censura di sviamento di potere il Tribunale
non si sarebbe dovuto limitare a dichiararne la infondatezza con
un mero rinvio al contenuto dell'atto impugnato.
Infine sarebbe stata omessa la motivazione in ordine a vari motivi
di impugnazione e precisamente ai motivi 1.10, 1.11, 1.12, 1.13,
1.14,1.15 del ricorso.
Con il controricorso la resistente ha eccepito l'improcedibilità
del ricorso per tardività nonché la sua inammissibilità
poiché volto ad ottenere l'accertamento immediato, da parte
del giudice, della fondatezza di una pretesa sostanziale.
Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità
del ricorso perché tardivo.
L'eccezione è fondata.
La società ricorrente contesta la eccezione di tardività
del ricorso, sostenendo nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.,
che qualora la notifica della copia integrale del dispositivo
della sentenza, di cui al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art.
183 (T.U. sulle acque e sugli impianti elettrici), non sia stata
preceduta dalla registrazione della sentenza (come avvenuto nel
caso di specie), detta notifica, non essendo effettuata a norma
del citato art. 183, non sarebbe idonea a far decorrere il termine
breve (di quarantacinque giorni) per l'impugnazione (ex art. 202
del citato T.U.).
In tal caso, secondo la ricorrente, sarebbe applicabile il termine
annuale di decadenza, di cui al l'art. 327 c.p., per cui il ricorso
di detta società andrebbe ritenuto tempestivo, perché
notificato entro l'anno dal deposito della sentenza del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche.
Tale tesi non appare condivisibile.
Il citato R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, dispone, al comma 3
e 4:
"il cancelliere annota in apposito registro il deposito (della
sentenza) ed entro tre giorni da tale deposito trasmette la sentenza
con gli atti all'ufficio del registro e ne da avviso alle parti
perché provvedano alla registrazione.
Restituiti la sentenza e gli atti dall'ufficio del registro, il
cancelliere entro cinque giorni ne esegue la notificazione alle
parti, mediante consegna integrale del dispositivo, nella forma
stabilita per la notificazione degli atti di citazione.".
Gli artt. 200 e 201 stabiliscono rispettivamente che contro le
decisioni del Tribunale Superiore delle acque pubbliche pronunciate
in grado di appello (avverso le sentenze definitive dei Tribunali
Regionali delle acque pubbliche) e contro le decisioni nelle materie
contemplate nell'art. 143 (che appartengono alla cognizione diretta
di detto Tribunale Superiore) è ammesso il ricorso alle
sezioni unite della Corte di Cassazione.
L'art. 202, u.c., del citato T.U. disciplina il termine per proporre
tale ricorso, disponendo: I termini indicati nell'art. 518 c.p.c.
(il codice di procedura civile vigente all'epoca prevedeva il
termine di 90 giorni) sono ridotti alla metà e decorrono
dalla notificazione del dispositivo della sentenza, fatta a norma
dell'art. 183.". La soluzione del problema che questa Suprema
Corte è chiamata a risolvere: se la notifica della copia
integrale del dispositivo della sentenza comporti, comunque, indipendentemente
dalla sua registrazione, la decorrenza del termine breve per impugnare
la decisione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche, impone
di prendere le mosse da questa preliminare considerazione: il
T.U. sulle acque ed impianti elettrici del 1933 fu emanato nella
vigenza della legge di registro, approvata con il R.D. 30 dicembre
1923, n. 3269. Il R.D. n. 3269 del 1923, art. 68 prevedeva che
tutte le sentenze erano soggette a registrazione (Le sentenze
sono soggette a tassa fissa, graduale o proporzionale, giusta
la parte seconda della tariffa).
Il successivo art. 73 stabiliva che la registrazione doveva essere
eseguita presso gli uffici del registro, sulla presentazione degli
atti originali (primo comma); che sugli atti originali dovevano
essere riportati gli estremi della eseguita registrazione (terzo
comma); che gli originali degli atti presentati per essere registrati,
dopo eseguita la registrazione, erano restituiti al richiedente
la formalità (comma 4).
L'art. 80 stabiliva che l'obbligo di richiedere la registrazione
delle sentenze e di provvedere al pagamento (in solido con le
parti istanti e quelle che dovevano far uso delle sentenze) della
tassa di registro (art. 93) incombeva ai cancellieri;
L'art. 99 prevedeva una sanzione pecuniaria per i cancellieri
che non avessero provveduto, entro il termine stabilito, alla
registrazione della sentenza.
L'art. 117 faceva divieto ai cancellieri, pena una sanzione pecuniaria,
di rilasciare per qualunque scopo "per originale, per copia
o per estratto alcun atto soggetto alla registrazione, se esso
non è stato prima registrato".
L'art. 120 faceva obbligo ai cancellieri di fare specifica menzione
nelle copie e negli estratti degli atti giudiziali della avvenuta
registrazione.
Dal su riportato quadro normativo si evince che, nella vigenza
del citato R.D. in materia di registro, il cancelliere era tenuto
ad inviare l'originale della sentenza all'ufficio del registro
per la registrazione e che solo dopo la sua registrazione e la
sua restituzione da parte di detto ufficio avrebbe potuto rilasciarne
copia agli interessati;
conseguentemente finché la sentenza non fosse stata restituita
al cancelliere le parti non avevano alcuna possibilità
di prenderne cognizione e, quindi, di valutare la opportunità
di impugnarla. In siffatta situazione la eventuale notifica della
copia integrale del dispositivo della sentenza da parte del cancelliere,
prima che questa fosse stata restituita dall'ufficio del registro,
non avrebbe potuto determinare la decorrenza del termine (breve)
di impugnazione, non perché la registrazione fosse una
condizione richiesta dalla legge per la decorrenza di tale termine,
ma perché, se non si fosse provveduto alla sua registrazione,
tale mancanza era di ostacolo alla eventuale impugnazione per
la impossibilità di disporre di copia della stessa.
Com'è agevole constatare dall'esame comparato della normativa
su riportata, l'art. 183, comma 3, impone al cancelliere gli stessi
obblighi previsti dalla legge di registro, dal che si evince che,
con riferimento agli adempimenti previsti per la registrazione,
tale disposizione risulta dettata, dal legislatore dell'epoca,
a tutela dell'interesse generale alla riscossione dei tributi
(vitale per la comunità, perché rende possibile
il regolare funzionamento dei servizi statali). Gli obblighi e
le proibizioni contenute in detta norma, analoghi a quelli previsti
dalla legge di registro (del 1923) avevano la funzione, all'epoca
della entrata in vigore del T.U. sulle acque pubbliche di stimolare
l'adempimento dell'obbligo di pagamento dell'imposta di registro
(come prevista dalla legge del 1923). È norma, quindi,
per quanto riguarda gli obblighi e le proibizioni suindicati,
di rilevanza fiscale.
La parte della norma che rileva ai fini processuali è là
ove prevede la notifica della copia integrale del dispositivo
della sentenza (che va effettuata nelle forma stabilita per la
notifica degli atti di citazione), atteso che soltanto dalla data
di tale notifica decorre il termine di trenta giorni per impugnare
le sentenze dei Tribunali Regionali delle acque pubbliche dinanzi
al Tribunale superiore delle acque pubbliche (art. 189 del T.U.)
ed il termine di quarantacinque giorni per impugnare le sentenze
del Tribunale Superiore delle acque pubbliche dinanzi alle sezioni
unite della Corte di Cassazione (artt. 200, 201 e 202 del T.U.);
ciò che ha esclusiva rilevanza processuale, giova ribadirlo,
è la data della notifica della copia integrale del dispositivo
della sentenza. Il quadro normativo in tema di imposta di registro,
con riferimento al quale va letto l'art. 183 del T.U. al fine
di coglierne la esatta funzione e portata normativa, ha subito
una prima modifica a seguito della emanazione della sentenza n.
80 del 1966 della Corte Costituzionale.
Con tale sentenza la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare la
illegittimità costituzionale del R.D. 30 dicembre 1923,
n. 3269, art. 117, modificato con il R.D. 13 gennaio 1936, n.
2313, art. 1 "nella parte in cui vieta ai funzionari delle
cancellerie giudiziarie di rilasciare, prima che sia avvenuta
la loro registrazione, copie o estratti di sentenze in cui deposito
in giudizio sia condizione essenziale per la procedibilità
dell'impugnativa, ai sensi dell'art. 348 c.p.c., "Detto quadro
ha subito ulteriori modifiche con l'entrata in vigore del D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 634 (che ha introdotto una nuova disciplina
della imposta di registro, disponendo l'abrogazione - R.D. n.
3269 del 1923, art. 80 -) e con l'entrata in vigore del nuovo
testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro,
approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che ha sostituito
il D.P.R. n. 634 del 1972.
L'art. 10, lett. c), di detto ultimo D.P.R. (previsione peraltro
contenuta anche nel precedente D.P.R. del 1972) impone ai cancellieri
di richiedere (entro cinque giorni dal deposito - art. 13) la
registrazione delle sentenze, ma soltanto di quelle che rientrano
tra gli atti soggetti al pagamento dell'imposta di registro e
per i quali vi è, quindi, obbligo di registrazione; tali
sono quelle indicate nella parte prima, art. 8 della tariffa allegata
al citato d.P.R., che prevede aliquote diversificate a seconda
dell'oggetto del provvedimento giurisdizionale.
L'art. 8 della tariffa, in particolare, stabilisce che gli atti
dell'autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia
di controversie civili che definiscono, anche parzialmente il
giudizio, sono soggette all'imposta di registro se: a) recanti
trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili
o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti (scontano
le stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti); b) recanti
condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni
o alla consegna di beni di qualsiasi natura (la Corte Costituzionale,
con sentenza n. 202 dell'11 giugno 2003, ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale di questa lettera, nella parte in cui non esenta
dall'imposta ivi prevista provvedimenti emessi in applicazione
dell'art. 148 c.c., nell'ambito dei rapporti fra genitori e figli)
(aliquota del 3%); c) di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale
(aliquota dell'1%);
d) non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti
a contenuto patrimoniale (Euro 168,00); e) che dichiarano la nullità
o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti
condanna alla restituzione in denaro o beni (Euro 168,00); f)
aventi per oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti
civili del matrimonio o la separazione personale, ancorché
recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni
personali già facenti parte di comunione fra i coniugi;
modifica di tali condanne o attribuzioni (Euro 168,00); g) di
omologazione (euro 168,00); art. 1 bis Atti del Consiglio di Stato
e dei Tribunali amministrativi regionali che definiscono, anche
parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi,
che recano condanna al pagamento di somme di danaro diverse dalle
spese processuali.
L'art. 2 della tabella allegata a detto D.P.R., relativa agli
atti per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione,
prevede che non vi è obbligo di chiedere la registrazione
per gli "atti, diversi da quelli espressamente contemplati
nella parte prima della tariffa, dell'autorità giudiziaria
in sede civile e penale, della Corte Costituzionale, del Consiglio
di Stato, della Corte dei Conti, dei Tribunali Amministrativi
regionali, delle Commissioni tributarie e degli organi di giurisdizione
speciale e dei relativi procedimenti ...".
Il citato D.P.R. del 1986, art. 37, relativo agli atti dell'autorità
giudiziaria, stabilisce che "Gli atti dell'autorità
giudiziaria in materia di controversia civili che definiscono
anche parzialmente il giudizio ... sono soggetti all'imposta anche
se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano
ancora impugnabili, salvo conguaglio ... in base a successiva
sentenza passata in giudicato ...".
Appare opportuno porre in rilievo, che il principio generale che
si ricava dalla norma summenzionata, è quello dell'obbligo
della registrazione e dell'assolvimento del tributo anche se l'atto
è impugnato o impugnabile, salvo conguaglio in base a sentenza
successiva sentenza passata in giudicato. Ne deriva che l'imposta
applicata al momento della registrazione è "provvisoria",
essendo la sua definitività subordinata alle risultanze
dell'eventuale sentenza emessa in sede di impugnazione e passata
in giudicato. Ne deriva, altresì, che non tutte le sentenze
che intervengono nei vari gradi di giudizio debbono essere registrate,
ma soltanto la sentenza che rientra tra i casi previsti dall'art.
8 della tariffa, che potrebbe restare l'unica soggetta a registrazione
se non intervengono ulteriori sentenze che, per essere più
favorevoli, impongono il versamento di un conguaglio che deve
essere corrisposto soltanto con il passaggio in giudicato della
sentenza.
Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 66 (relativo al divieto
di rilascio di documenti ed atti non registrati) stabilisce (al
comma 1) che i soggetti indicati nell'art. 10, lett. b) e c) (tra
i quali figurano i cancellieri) possono rilasciare originali,
copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine
fisso da loro formati o autenticati solo dopo che gli stessi sono
stati registrati, indicando gli estremi della registrazione, compreso
l'ammontare dell'imposta, con apposita attestazione da loro sottoscritta;
al comma 2) che: "La disposizione di cui al comma 1, non
si applica: a) agli originali, copie ed estratti di sentenze ed
altri provvedimenti giurisdizionali, o di atti formati dagli ufficiali
giudiziari e dagli uscieri, che siano rilasciati per la prosecuzione
del giudizio. Rispetto alla originaria Legge di Registro del 1923
il quadro normativo, com'è agevole constatare, è
notevolmente mutato, atteso che mentre in base a detta legge tutte
le sentenze andavano registrate ed era fatto divieto al cancelliere
di rilasciarne copia prima della loro registrazione, attualmente
vi sono sentenze che vanno registrate e sentenze che non vanno
registrate ed anche per quelle che vanno registrate il cancelliere
è tenuto a rilasciarne copia prima della registrazione
se ciò è necessario per la prosecuzione del giudizio.
Alla luce della illustrata evoluzione normativa in tema di imposta
di registro si deve fondatamente escludere che la preventiva registrazione
della sentenza, prevista dall'art. 183 del T.U. sulle acque e
sugli impianti elettrici possa essere ritenuta "condizione
essenziale" per la decorrenza del termine breve di impugnazione
derivante dalla notifica della copia dell'estratto integrale della
sentenza.
Tale conclusione si impone per il fatto che attualmente non tutte
le sentenze devono essere registrate (tra le quali, tenendo conto
della normativa summenzionata, possono essere sicuramente incluse
quelle emesse dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche, qualora
non importino conguaglio della imposta pagata a seguito della
registrazione (eventuale) delle sentenze del Tribunale Regionale),
e per il fatto che non sussiste più il divieto per il cancelliere
del rilascio di copia della sentenza prima della sua registrazione
(e questo già a partire dalla sentenza n. 80 del 1966 della
Corte Costituzionale).
Se si dovesse seguire la tesi della ricorrente, si dovrebbe ritenere
che soltanto se la sentenza è soggetta a registrazione
potrebbe decorrere il termine breve per l'impugnazione, mentre
dovrebbe ritenersi applicabile il termine lungo di cui all'art.
327 c.p.c., se la sentenza non rientra tra quelle per le quali
è previsto l'obbligo della registrazione, anche se è
intervenuta, prima della registrazione, notificata da parte del
cancelliere di copia integrale del dispositivo della sentenza;
soluzione questa che, oltre non essere plausibile per tutte le
ragioni suddette, si presenta del tutto irragionevole (determinando
una situazione di ingiustificata disparità di trattamento)
e per altro in contrasto con l'art. 6 della Convenzione Europea
dei diritti dell'uomo e con l'art. 111 Cost., volti ad assicurare
la ragionevole durata del processo. Conseguentemente deve affermarsi
il principio secondo cui, avvenuta la comunicazione dell'avviso
di deposito della sentenza (certamente questo inidoneo, ancorché
contenente il dispositivo della stessa, a far decorrere il termine
breve di 45 giorni, di cui al R.D. n. 1775 del 1993, art. 202)
la successiva notifica della copia integrale del dispositivo della
sentenza stessa, fa decorrere, comunque, indipendentemente dalla
registrazione della sentenza, il termine breve per la sua impugnazione,
rilevando la effettuazione della sua registrazione esclusivamente
ai fini fiscali.
Nel caso che ne occupa, la sentenza del Tribunale Superiore delle
acque pubbliche non è stata inviata dalla cancelleria alla
Agenzia delle Entrate per la registrazione, verosimilmente perché
non rientra, per il suo oggetto, tra le sentenze previste dall'art.
8 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.
Conseguentemente la cancelleria ha provveduto alla notifica alla
H., in data 6 febbraio 2009, dell'avviso di deposito della sentenza
del Tribunale Superiore delle acque pubbliche, con invito al ritiro
degli atti prodotti in giudizio dalla stessa, ed in data 20 febbraio
2009 le ha notificato la copia integrale del dispositivo della
sentenza, senza alcuna indicazione, ovviamente perché non
effettuata, della sua registrazione.
Con la comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza e
l'invito al ritiro degli atti la parte veniva indirettamente edotta
della omessa registrazione della stessa.
Avendo la possibilità di ottenere l'immediato rilascio
della sentenza impugnata, devesi fondatamente ritenere che con
la notifica del 20 febbraio 2009 della copia integrale del dispositivo
è iniziato a decorrere il termine breve di 45 giorni, previsto
dal R.D. n. 1775 del 1993, art. 2002, il cui comma ultimo, dispone
che i termini indicati nell'art. 518 c.p.c. (all'epoca vigente)sono
ridotti alla metà e decorrono dalla notificazione del dispositivo
della sentenza, fatta a norma dell'art. 183.
Nel caso che ne occupa, la copia del ricorso per cassazione avverso
la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è
stata consegnata all'Ufficio Postale di Bolzano Centro, per la
spedizione in piego raccomandato con avviso di ricevimento, il
6 aprile 2009, quindi nel termine di quarantacinque giorni previsto
dalla legge, decorrente dal 20 febbraio 2009.
Quale destinatario della notifica, dal difensore richiedente avv.
P. P., è stata indicata la Provincia Autonoma di Bolzano,
in persona del presidente pro tempore della Giunta provinciale
nel domicilio eletto presso lo studio dell'avv. M. C. in Roma,
via Xxx n. x.
Nel controricorso proposto dalla Provincia Autonoma di Bolzano
a seguito del ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche
della H. s.p.a. e nella intestazione della sentenza di detto Tribunale
è indicato quale domicilio eletto lo studio dell'avv. M.
C. in 00195 Roma, via Yyy n. y. L'avviso di ricevimento del piego
raccomandato, spedito in data 6.4.2009 all'avv.to M. C. in Roma,
via Xxx n. x, è tornato al mittente con la indicazione
della mancata consegna del piego per irreperibilità del
destinatario, perché a quell'indirizzo sconosciuto.
L'avvocato della H. ha provveduto, allora, ad effettuare una nuova
notifica del ricorso a mezzo posta, questa volta indicando quale
indirizzo del domiciliatario avv.to M. C., Roma, via Yyy n. y.
La copia del ricorso in piego raccomandato è stata consegnata
all'Ufficio Postale di Bolzano Centro in data 20 aprile 2009,
e, quindi, oltre il termine di quarantacinque giorni previsto
per la proposizione del ricorso. Questa volta la notifica ha avuto
esito positivo, atteso che dall'avviso di ricevimento depositato
dalla ricorrente risulta che la copia del ricorso in piego raccomandato
è stata consegnata al destinatario avv.to M. C., all'indirizzo
di via Yyy n. y in data 24 aprile 2009.
Ritiene il collegio che al fine di verificare la tempestività
della proposizione del ricorso per Cassazione della H. s.p.a.
non può essere presa in considerazione la data del 6 aprile
2009, in cui la copia del ricorso in piego raccomandato è
stata consegnata per la prima volta all'Ufficio Postale di Bolzano
Centro.
In tema di notificazioni a mezzo del servizio postale questa Suprema
Corte di Cassazione, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
n. 477 del 2002, ha affermato il principio secondo cui la notificazione
di un atto processuale per il notificante si intende perfezionata
al momento della consegna dell'atto da notificare all'ufficiale
giudiziario, con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna
evita alla parte la decadenza correlata all'inosservanza del termine
perentorio entro il quale la notifica va effettuata, essendo la
successiva attività di quest'ultimo e dei suoi ausiliari
(quale appunto l'agente postale per le notificazioni di atti a
mezzo posta) sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità
del notificante medesimo, fermo restando per il destinatario il
principio del perfezionamento della notificazione alla data di
ricezione dell'atto, attestata, per le notifiche a mezzo posta,
dall'avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella
stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo.
(cfr. per tutte cass. n. 1025 del 2005).
La tempestività della proposizione del ricorso per Cassazione,
alla luce di tale principio, esige che la consegna della copia
del ricorso per la spedizione a mezzo posta venga effettuata all'ufficiale
giudiziario nel termine perentorio previsto dalla legge e che
la tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente
ad errori od all'inerzia dell'ufficiale giudiziario o dei suoi
ausiliari e non alla omissione od alla erroneità di adempimenti
spettanti al notificante, atteso che la tempestiva consegna dell'atto
all'ufficiale giudiziario rileva al fine di evitare la decadenza
della impugnazione soltanto se la mancata effettuazione della
notifica sia addebitarle ad errori o al mancato adempimento di
formalità spettanti all'ufficiale giudiziario o ai suoi
ausiliari trattandosi di eventi che sfuggono al controllo ed alla
disponibilità del notificante. Nel caso che ne occupa la
notifica a mezzo posta del ricorso per cassazione della H., richiesta
all'ufficiale giudiziario in data 6 aprile 2009, quindi entro
il termine di quarantacinque giorni, non è andata a buon
fine, non per un errore dell'ufficiale giudiziario nella compilazione
sulla busta dell'indirizzo del destinatario, ma per un errore
del notificante che non ha fornito all'ufficiale giudiziario l'indirizzo
effettivo del domiciliatario, ma un indirizzo presso il quale
questo non era più reperibile. Pertanto non può
venire in rilievo la data della consegna all'ufficiale giudiziario
di un atto processuale che ab origine non avrebbe potuto essere
notificato al destinatario per errore nella indicazione del suo
indirizzo, atteso che la indicazione dell'esatto indirizzo del
destinatario è formalità che non sfugge alla disponibilità
del notificante, ma che rientra nel suo ambito di controllo.
Quale data di consegna all'ufficiale giudiziario in base alla
quale verificare la tempestività della proposizione del
ricorso va, pertanto, esclusivamente considerata quella del 20
aprile 2009; a tale data il termine perentorio di quarantacinque
giorni per proporre l'impugnazione era ormai spirato, per cui
il ricorso della H. devesi ritenere tardivo e, come tale, deve
essere dichiarato inammissibile.
La complessità delle questioni dibattute nel presente processo
ed il mutamento del precedente orientamento giurisprudenziale
in tema di decorrenza del termine breve per l'impugnazione delle
sentenze del Tribunale Superiore delle acque costituiscono giusti
motivi per la integrale compensazione delle spese del giudizio
di Cassazione.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa integralmente
tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010