L'intimazione del precetto nei confronti
del mutuatario inadempiente risolve il contratto di mutuo
Gianfrancesco Vecchio, Avvocato, Prof.
Aggr. di Ist. Dir. Priv. a.a. 2005-2006, Università degli
Studi di Cassino
Con la significativa pronunzia n. 20449/2005 la Suprema Corte
affronta, e condivisibilmente risolve, un complesso problema tecnico
giuridico in materia di disciplina del mutuo fondiario anche e
soprattutto dipanando una questione di stratificazione legislativa
e, conseguente, operatività di risalenti fonti normative
mai completamente abrogate.
La controversia, qui al vaglio del giudizio di legittimità,
prende le mosse nel 1990 quando una società di persone,
che aveva acceso un mutuo fondiario quindicennale con atto stipulato
il 27 settembre 1978, pone di fronte ai giudici di merito la fondamentale
questione circa il se, lavere la banca mutuante notificato
il precetto, atto prodromico alla poi iniziata esecuzione immobiliare,
abbia determinato o meno la risoluzione del contratto di mutuo.
E evidente limportanza della questione sollevata in
quanto, se si opti per la risposta positiva, i diritti della banca
mutuante si cristallizzeranno a tale momento con riferimento alle
rate scadute e non pagate e al capitale residuo, anche se il tutto
maggiorato dagli interessi (si vedrà poi di che natura
e in che misura), nel caso, invece, si opti per la risposta negativa,
le rate residue continueranno ad essere dovute alle scadenze originariamente
pattuite e secondo gli accordi concordati.
I giudici del merito si dicono sul punto dapprima favorevoli alla
banca, che chiede il riconoscimento del perdurare in vita del
contratto di mutuo, quindi favorevoli allopposta richiesta
della società mutuataria.
E però la Corte di Cassazione, nelloptare ancora
per questultima lettura, a fornire la chiave interpretativa
di una questione che chiama in causa, oltre al codice civile,
una legislazione speciale decisamente risalente, come il r.d.
16 luglio 1905, n. 646, ed il successivo, comunque non vicinissimo,
D.p.r. 21 gennaio 1976, n. 7.
Le argomentazioni della difesa della banca, tese ad ottenere il
riconoscimento, della permanente vitalità del contratto
di mutuo nonostante linizio della procedura esecutiva, si
basano, da un lato, sullasserita possibilità di integrazione
delle due normative speciali sopra citate, dallaltro, sul
richiamo a diversi precedenti giurisprudenziali della stessa corte
di legittimità.
Quanto alla prima linea di difesa si sostiene, in particolare,
che il provvedimento del 1976 non avrebbe fatto venir meno il
collegamento, previsto dal r.d. del 1905, tra operazioni di reperimento
della provvista mediante emissione di titoli (obbligazioni) e
relativi impieghi (cioè mutui), lasciando così intendere
che cozzerebbe contro la voluntas legis linterruzione dellobbligo
di pagare le rate a carico del mutuatario una volta che fosse
stata iniziata lesecuzione per problemi di inadempimento.
Anche se vengono poi richiamati altri articoli del provvedimento
del 1905, quali i n. 41, 61 e 62 a sostegno della tesi proposta,
è quello indicato per primo il cuore dellargomentazione.
A cui, peraltro, si aggiunge il richiamo alle pronunzie di legittimità
n. 3763/1991, relativamente al r.d. del 1905 ed alla n. 14337/2000
con riguardo al D.p.r. del 1976.
Con ragionamento assai articolato la Cassazione respinge la ricostruzione
proposta.
Compiendo dapprima una sorta di excursus nella propria giurisprudenza
la Corte ricostruisce come, effettivamente, sia da considerarsi
ad oggi ancora dubbio il riconoscimento dellintroduzione
di una vera e propria clausola risolutiva espressa collegata al
semplice inizio dellazione esecutiva nella previsione di
cui allart. 39 del r.d. del 1905 che recita: Nei contratti
di credito fondiario intendesi stipulata la condizione risolutiva
in caso di ritardo di pagamento anche di una sola parte del credito
scaduto; e listituto può chiedere risolutivamente
il pagamento integrale di ogni somma ad esso dovuta, contenuto,
poi, alquanto analogamente riportato nellart. 15 del D.p.r.
del 1976.
Sul punto, cioè, si sono pronunziate per il riconoscimento
dellimmediata risoluzione del rapporto come conseguente
allinizio dellazione esecutiva le pronunzie n. 3424/1969
e 5944/1981, mentre in senso opposto hanno militato le pronunzie
n. 3763/1991 (citata dalla difesa della banca) e le semplicemente
conformi 11916/1990 e 9219/1995, peraltro tutte riferentesi alla
disciplina di cui al 1905, mentre la n. 14337/2000, pur riguardando
la disciplina del 1976, non viene giudicata adeguatamente motivata.
Il punto centrale, peraltro, osserva lodierna decisione
è rappresentato dalla circostanza che, tra le due normative,
è intervenuto il codice civile, e più precisamente
lart. 1456 in esso contenuto, che ha riconosciuto e disciplinato
la figura della clausola risolutiva espressa la cui precedente
mancata previsione, invece, aveva costituito criterio argomentativo
della pronunzia n. 3763/1991 per non considerarla riconducibile
allart. 39 del 1905. In sostanza, in quella pronuncia, in
realtà maggiormente concentrata sulla questione degli interessi
dovuti, si era anche affermato che essendo nel 1905 sconosciuta
la clausola risolutiva espressa di cui poi al codice civile del
1942, il riferimento contenuto nellart. 39 del r.d. più
volte citato avrebbe, al massimo, determinato una decadenza del
beneficio del termine riconducibile allart. 1186 cod. civ.
Sia consentito chiosare brevemente la singolarità dellapproccio
della Cassazione del 1991 che, giudicando di un contratto mutuo
stipulato nel 1965, ben dopo lintroduzione della clausola
risolutiva espressa via codice civile cioè, esclude che
la norma del 1905, interpretata non evolutivamente, la potesse
prevedere, osservando un attimo dopo che leffetto da essa
prodotto sarebbe riconducibile a quello di un altro istituto dello
stesso codice civile
ma tantè. Comunque, la
decisione odierna osserva conclusivamente sul punto che, quale
che sia linterpretazione da attribuire allart. 39
del r.d. n. 646 del 1905 di fronte ad un contratto di mutuo ratione
temporis soggetto al D.p.r. n. 7 del 1976, art. 15, in quanto
stipulato nel 1978, sia da considerare operante quale clausola
risolutiva espressa del contratto (ormai già da tempo contenuta
nellordinamento ai sensi del citato art. 1456 del codice
civile), lintimazione da parte della banca mutuante, a seguito
dellinadempimento del mutuatario, del precetto di pagamento
per ogni suo credito, ivi compreso il capitale residuo.
Alla luce di questa conclusione viene poi affrontata la non meno
rilevante questione attinente agli interessi dovuti dal mutuatario
sulle somme non pagate. Il problema viene risolto osservando che
lobbligazione di pagamento che permane, mantenendo il suo
carattere contrattuale come cioè derivante dal contratto
di mutuo che è stato risolto ma solo per il futuro, impone
che il computo degli interessi avvenga secondo i criteri convenuti
nel mutuo stesso e, quindi, non in semplice misura legale. Opererà
cioè lart. 1224, 1° co., ult. p., che prevede
che gli interessi moratori abbiano la stessa misura di quelli,
eventualmente, già precedentemente dovuti in virtù
di apposita pattuizione.
Si osserva poi, correttamente, che opinare nel senso della debenza
degli interessi nella sola misura legale arrecherebbe un ingiustificato
vantaggio al debitore inadempiente permettendogli, di fatto, di
godere della disponibilità della somma di denaro ad un
tasso migliore di quello originariamente stabilito. Mentre, dallaltra
parte, se è certo vero che la soluzione adottata non corrisponde,
per la banca, al percepimento delle stesse somme connesse al pagamento
delle rate nel volgere del tempo, da intendersi comprensivo anche
di una componente di interessi corrispettivi, ciò non può
dirsi ingiustificato a fronte delleliminazione del beneficio
della dilazione per il debitore.
Questa scelta interpretativa, infine, permette alla Cassazione
di contestare anche laltra affermazione della difesa della
banca mutuante circa il venir in tal modo meno del collegamento
tra raccolta della provvista e stipulazione di contratti di mutuo.
Ciò in quanto gli interessi, per lappunto, moratori
sul capitale residuo continuano a maturare al tasso convenzionale
e non legale così non compromettendo la finalità
predetta, pure riconosciuta perseguita anche dal D.p.r. n. 7 del
1976, anche se su un piano più economico che strettamente
giuridico, essendo venuta meno la rigida corrispondenza tra singole
operazioni di impiego e singole operazioni di provvista voluta
dal r.d. n. 646 del 1905.